Una leggenda lo vuole creato da Dio attraverso lo starnuto di un leone su
richiesta di Noé per combattere i topi presenti sull’Arca, ma in realtà
il gatto domestico avrebbe origini relativamente recenti. Stando agli scheletri rinvenuti in giacimenti preistorici europei risalenti a 50 milioni di anni fa (inizio del terziario), questo piccolo animale discenderebbe dal Felis sylvestris libica, il gatto africano.
E proprio in Africa, e precisamente nell’Antico Egitto,
ebbe inizio il lungo sodalizio fra uomini e gatti.
Le origini
Vissuto allo stato selvaggio per diversi secoli, il gatto fu addomesticato in Egitto intorno al 2000 a.C. perché considerato un ottimo cacciatore di topi e quindi l’ideale per difendere i magazzini di grano e di altri cereali. Ben presto - a partire dal 1567 a.C. - divenne però, soprattutto per le sue caratteristiche che ne fanno un simbolo di bellezza e seduzione, un vero e proprio oggetto di adorazione come manifestazione terrena di Bastet, dea della salute e divinità protettrice della fertilità, della maternità e delle gioie terrene (danza, musica e sessualità), che veniva comunemente rappresentata con il corpo di donna e la testa di gatto.
Si pensi che nell’antico Egitto chi uccideva questo animale, considerato sacro e quindi degno di culto e di protezione, era punito con la morte, pena inflitta anche ai contrabbandieri che violavano il divieto di trasferirlo fuori dai confini del regno. Quando un gatto poi passava a miglior vita riceveva tutti gli onori del caso: veniva imbalsamato e nella tomba – situata in una necropoli destinata esclusivamente a questi animali – venivano poste delle mummie di topi per permettere al piccolo cacciatore di continuare ad esercitare la sua attività anche nell’aldilà.
Secondo i dipinti rinvenuti, i gatti venivano ritratti con grande cura, col mantello marrone-rossiccio, a macchie o tigrato, con orecchie larghe e il corpo scattante.
Anche i sacerdoti amavano la compagnia di questi felini, ed in ogni casa egizia vi era un micio; in particolare, chi voleva ottenere i favori della dea Bestat doveva offrire del pesce ai suoi rappresentanti terreni.
Alla conquista del mondo
Grazie agli spostamenti dei mercanti, dall’Egitto il gatto prese a frequentare le case dell’uomo anche in altri paesi come l’India e la Persia e in seguito in Grecia e nell’Impero Romano; per diffondersi poi, in seguito all’espansione dello stesso Impero, nell’Europa Occidentale. Apprezzato nell’antica Roma per tenere lontani i topi, fu spesso però anche considerato un protettore delle pareti domestiche. Anche gli Etruschi lo consideravano un fedele "compagno".
Nel IX secolo approdò in Giappone come regalo dalla Cina all’imperatore nipponico; spesso, infatti, i gatti – a parte quelli imbarcati sulle navi come cacciatori di topi – erano scambiati fra gli imperatori d’Oriente come doni.
A lungo furono fatti accoppiare con gatti selvatici locali per creare nuove razze e da qui sono nati il Persiano proveniente dalla Persia, l’Angora (da Ankara), il Siamese (da Siam in Thailandia), il Burmese (dalla Birmania) e il Bobtail (dal Giappone).
In particolar modo i Giapponesi hanno sempre considerato questi piccoli felini come portafortuna e per questo li hanno immortalati in statuette con la zampa alzata in segno di buon augurio.
Ma in realtà anche altri paesi d’Oriente erano affascinati dai gatti. Sembra che il profeta Maometto, fondatore dell’Islam, avesse tagliato una parte del proprio mantello per non svegliare il gatto che vi dormiva sopra. In Thailandia invece il
gatto partecipava all’incoronazione del re, mentre in molte regioni asiatiche si credeva che tenesse lontani i demoni.
Molto apprezzato anche in Occidente, soprattutto nel XI secolo quando l’Europa fu invasa dal topo nero: i comandanti delle navi della Repubblica Genovese erano addirittura tenuti ad "arruolare" nei propri equipaggi un certo numero di gatti per la derattizzazione delle stive.
Il "periodo nero"
Caduto in disgrazia nel XIII secolo, il micio ebbe poi un periodo davvero difficile: per colpa dello sviluppo della superstizione divenne, infatti, una creatura infernale, soprattutto perché associato ai culti pagani e alla stregoneria.
Considerato un animale demoniaco sia per il suo carattere fieramente indipendente che come compagno prediletto di chi praticava la stregoneria, il gatto fu considerato un vero e proprio nemico dalla Chiesa, che gli dichiarò guerra per oltre quattro secoli, durante i quali fu perseguitato, sacrificato, impiccato o torturato proprio come un eretico. Additato come figlio del demonio, al pari di streghe e fattucchiere, fu spesso bruciato sul rogo insieme a queste ultime.
Spesso durante il Medioevo divenne oggetto di incredibili crudeltà, come in Francia dove nel giorno dei santi vi era l’usanza, come offerta sacrificale di espiazione, di bruciare sulla pubblica piazza cesti, barili e sacchi pieni di gatti vivi!
Come effetto di questa guerra, il topo ebbe campo libero per propagarsi in tutte le città, al punto che i suoi abituali cacciatori – donnole, martore e furetti – non riuscirono più a far fronte a quest’invasione.
E fu soprattutto per questo che si cominciò a riprendere in considerazione il gatto come animale domestico indispensabile.
La riscossa
Un momento di tregua si ebbe con la fine del Seicento, quando grazie ad una legge ecclesiastica anglicana i gatti ripresero a popolare monasteri e conventi e in seguito anche le abitazioni. In Francia, anzi, erano considerati un bene talmente prezioso che il fisco vi aveva perfino imposto una tassa.
La riabilitazione dei mici fu possibile anche per merito delle scoperte in campo della microbiologia che consideravano molti animali domestici, come cani e cavalli, portatori di gravi malattie; il più pulito tra questi, il gatto appunto, uscì da tali studi riabilitato.
E non per niente entrò di diritto come protagonista nei salotti, tanto da meritare la prima esposizione a lui dedicata (nel 1860, nello stato americano del Maine) e una serie di fondazioni e club.
Il gatto tornò nelle grazie degli uomini in particolar modo a partire dal XVIII secolo anche per merito di poeti, pittori, musicisti e scrittori, pronti a farne una musa ispiratrice e a rendere omaggio alla sua grazia e al suo fascino: magnifici versi furono scritti da Baudelaire, Balzac, Chateaubriand,Victor Hugo, Téophile Gautier e Pablo Neruda.
Anche prima del suo ritorno in auge, però, il micio aveva i suoi dotti estimatori: si dice che Petrarca componesse le sue opere tenendo sul tavolo la gatta prediletta e quando morì l’amata Laura scrisse che proprio la sua gatta era l’unica consolazione rimastagli; anche Torquato Tasso, due secoli più tardi, scrisse di trovare consolazione dalla sorte avversa solo nelle "pupille sacre" del suo gatto. E come non ricordare una delle più belle favole di Perreault dedicata proprio a loro, il "Gatto con gli stivali"?
Ma non furono solo gli artisti ad amare i nostri piccoli amici. Sappiamo che il cardinale Richelieu lasciò ai suoi quattordici gatti una buona parte del suo patrimonio sotto forma di vitalizio e che Federico il Grande di Prussia aveva invece nominato i gatti guardiani dei granai dell’esercito ed imponeva tra i tributi delle città conquistate anche la consegna di un buon numero di gatti.
E, più recentemente, Albert Schweitzer dichiarò:
"Esistono due strade soltanto per sfuggire alla miseria umana, suonare l’organo e giocare con i gatti".
richiesta di Noé per combattere i topi presenti sull’Arca, ma in realtà
il gatto domestico avrebbe origini relativamente recenti. Stando agli scheletri rinvenuti in giacimenti preistorici europei risalenti a 50 milioni di anni fa (inizio del terziario), questo piccolo animale discenderebbe dal Felis sylvestris libica, il gatto africano.
E proprio in Africa, e precisamente nell’Antico Egitto,
ebbe inizio il lungo sodalizio fra uomini e gatti.
Le origini
Vissuto allo stato selvaggio per diversi secoli, il gatto fu addomesticato in Egitto intorno al 2000 a.C. perché considerato un ottimo cacciatore di topi e quindi l’ideale per difendere i magazzini di grano e di altri cereali. Ben presto - a partire dal 1567 a.C. - divenne però, soprattutto per le sue caratteristiche che ne fanno un simbolo di bellezza e seduzione, un vero e proprio oggetto di adorazione come manifestazione terrena di Bastet, dea della salute e divinità protettrice della fertilità, della maternità e delle gioie terrene (danza, musica e sessualità), che veniva comunemente rappresentata con il corpo di donna e la testa di gatto.
Si pensi che nell’antico Egitto chi uccideva questo animale, considerato sacro e quindi degno di culto e di protezione, era punito con la morte, pena inflitta anche ai contrabbandieri che violavano il divieto di trasferirlo fuori dai confini del regno. Quando un gatto poi passava a miglior vita riceveva tutti gli onori del caso: veniva imbalsamato e nella tomba – situata in una necropoli destinata esclusivamente a questi animali – venivano poste delle mummie di topi per permettere al piccolo cacciatore di continuare ad esercitare la sua attività anche nell’aldilà.
Secondo i dipinti rinvenuti, i gatti venivano ritratti con grande cura, col mantello marrone-rossiccio, a macchie o tigrato, con orecchie larghe e il corpo scattante.
Anche i sacerdoti amavano la compagnia di questi felini, ed in ogni casa egizia vi era un micio; in particolare, chi voleva ottenere i favori della dea Bestat doveva offrire del pesce ai suoi rappresentanti terreni.
Alla conquista del mondo
Grazie agli spostamenti dei mercanti, dall’Egitto il gatto prese a frequentare le case dell’uomo anche in altri paesi come l’India e la Persia e in seguito in Grecia e nell’Impero Romano; per diffondersi poi, in seguito all’espansione dello stesso Impero, nell’Europa Occidentale. Apprezzato nell’antica Roma per tenere lontani i topi, fu spesso però anche considerato un protettore delle pareti domestiche. Anche gli Etruschi lo consideravano un fedele "compagno".
Nel IX secolo approdò in Giappone come regalo dalla Cina all’imperatore nipponico; spesso, infatti, i gatti – a parte quelli imbarcati sulle navi come cacciatori di topi – erano scambiati fra gli imperatori d’Oriente come doni.
A lungo furono fatti accoppiare con gatti selvatici locali per creare nuove razze e da qui sono nati il Persiano proveniente dalla Persia, l’Angora (da Ankara), il Siamese (da Siam in Thailandia), il Burmese (dalla Birmania) e il Bobtail (dal Giappone).
In particolar modo i Giapponesi hanno sempre considerato questi piccoli felini come portafortuna e per questo li hanno immortalati in statuette con la zampa alzata in segno di buon augurio.
Ma in realtà anche altri paesi d’Oriente erano affascinati dai gatti. Sembra che il profeta Maometto, fondatore dell’Islam, avesse tagliato una parte del proprio mantello per non svegliare il gatto che vi dormiva sopra. In Thailandia invece il
gatto partecipava all’incoronazione del re, mentre in molte regioni asiatiche si credeva che tenesse lontani i demoni.
Molto apprezzato anche in Occidente, soprattutto nel XI secolo quando l’Europa fu invasa dal topo nero: i comandanti delle navi della Repubblica Genovese erano addirittura tenuti ad "arruolare" nei propri equipaggi un certo numero di gatti per la derattizzazione delle stive.
Il "periodo nero"
Caduto in disgrazia nel XIII secolo, il micio ebbe poi un periodo davvero difficile: per colpa dello sviluppo della superstizione divenne, infatti, una creatura infernale, soprattutto perché associato ai culti pagani e alla stregoneria.
Considerato un animale demoniaco sia per il suo carattere fieramente indipendente che come compagno prediletto di chi praticava la stregoneria, il gatto fu considerato un vero e proprio nemico dalla Chiesa, che gli dichiarò guerra per oltre quattro secoli, durante i quali fu perseguitato, sacrificato, impiccato o torturato proprio come un eretico. Additato come figlio del demonio, al pari di streghe e fattucchiere, fu spesso bruciato sul rogo insieme a queste ultime.
Spesso durante il Medioevo divenne oggetto di incredibili crudeltà, come in Francia dove nel giorno dei santi vi era l’usanza, come offerta sacrificale di espiazione, di bruciare sulla pubblica piazza cesti, barili e sacchi pieni di gatti vivi!
Come effetto di questa guerra, il topo ebbe campo libero per propagarsi in tutte le città, al punto che i suoi abituali cacciatori – donnole, martore e furetti – non riuscirono più a far fronte a quest’invasione.
E fu soprattutto per questo che si cominciò a riprendere in considerazione il gatto come animale domestico indispensabile.
La riscossa
Un momento di tregua si ebbe con la fine del Seicento, quando grazie ad una legge ecclesiastica anglicana i gatti ripresero a popolare monasteri e conventi e in seguito anche le abitazioni. In Francia, anzi, erano considerati un bene talmente prezioso che il fisco vi aveva perfino imposto una tassa.
La riabilitazione dei mici fu possibile anche per merito delle scoperte in campo della microbiologia che consideravano molti animali domestici, come cani e cavalli, portatori di gravi malattie; il più pulito tra questi, il gatto appunto, uscì da tali studi riabilitato.
E non per niente entrò di diritto come protagonista nei salotti, tanto da meritare la prima esposizione a lui dedicata (nel 1860, nello stato americano del Maine) e una serie di fondazioni e club.
Il gatto tornò nelle grazie degli uomini in particolar modo a partire dal XVIII secolo anche per merito di poeti, pittori, musicisti e scrittori, pronti a farne una musa ispiratrice e a rendere omaggio alla sua grazia e al suo fascino: magnifici versi furono scritti da Baudelaire, Balzac, Chateaubriand,Victor Hugo, Téophile Gautier e Pablo Neruda.
Anche prima del suo ritorno in auge, però, il micio aveva i suoi dotti estimatori: si dice che Petrarca componesse le sue opere tenendo sul tavolo la gatta prediletta e quando morì l’amata Laura scrisse che proprio la sua gatta era l’unica consolazione rimastagli; anche Torquato Tasso, due secoli più tardi, scrisse di trovare consolazione dalla sorte avversa solo nelle "pupille sacre" del suo gatto. E come non ricordare una delle più belle favole di Perreault dedicata proprio a loro, il "Gatto con gli stivali"?
Ma non furono solo gli artisti ad amare i nostri piccoli amici. Sappiamo che il cardinale Richelieu lasciò ai suoi quattordici gatti una buona parte del suo patrimonio sotto forma di vitalizio e che Federico il Grande di Prussia aveva invece nominato i gatti guardiani dei granai dell’esercito ed imponeva tra i tributi delle città conquistate anche la consegna di un buon numero di gatti.
E, più recentemente, Albert Schweitzer dichiarò:
"Esistono due strade soltanto per sfuggire alla miseria umana, suonare l’organo e giocare con i gatti".
2 commenti:
che dire l'unico amico, dell' uomo e'
proprio il gatto, che non abbaia,
che ha abitudine di lavarsi da solo
e sporca pochissimo, altro che i cani.
il gatto al massimo al max e via esageriamo anche alla decima mas si
aggatisce solo, se trattato male !!
Hai ragione
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